Errera, Rosa (1864-1946) Nacque a Venezia il 13 luglio 1864 da Cesare, ebreo di origine spagnola, e da Luigia Fano, di Mantova. Il padre, benestante agente di cambio, a causa di un grave dissesto finanziario dovette trasferirsi da Venezia a Trieste; alla sua morte la E. tornò con la famiglia nella città natale presso uno zio paterno che, pur avendo cinque figli, si prese cura dei quattro nipoti (oltre la E., Carlo, Emilia e Anna).
Terminati brillantemente a Venezia gli studi superiori, la E. si stabilì a Firenze, dove frequentò l'Istituto superiore di magistero sotto la guida di Enrico Nencioni, che vi insegnava letteratura italiana dal 1884. È probabile che proprio dal Nencioni, esperto e raffinato traduttore oltre che poeta e letterato, derivasse quell'interesse per le lingue e le letterature straniere che la impegnerà, seppure parecchi anni dopo, in traduzioni da H. Heine e da alcuni scrittori per ragazzi.
Dal 1884 al 1889, prima di terminare a Roma gli studi, insegnò a Firenze lettere italiane nelle scuole medie inferiori. Successivamente, vincitrice di un concorso per le superiori, si trasferì a Milano, dove dal 1892 fu assegnata alla scuola normale "Gaetana Agnesi". Sempre nel 1892, e saltuariamente nel 1893, collaborò a Il Piccolo italiano, il settimanale milanese diretto da Aurelio Stoppoloni che si proponeva di "educare i fanciulli dilettandoli", e insieme sollecitandoli a vivi sentimenti di italianità. Un programma di lavoro che trovò concorde la E., nel frattempo avviatasi all'attività di scrittrice per l'infanzia e la giovinezza, con una particolare attenzione agli ideali di patria, famiglia e umanità, conformemente allo spirito del tempo.
Nel 1891 aveva pubblicato i suoi due primi libri, ai quali si aggiunse una produzione copiosa di altri, sempre riservati al settore specializzato della letteratura giovanile, cui la E. si dedicò per tutta la vita, conciliando e spesso integrando tra loro le occupazioni di scrittrice e di insegnante. Ne risultarono operette didattiche e pedagogiche, antologie curate per le scuole medie e le superiori, e libri di lettura per le elementari, tra cui La famiglia Villanti (Milano 1896), che ebbe ben dodici edizioni in venticinque anni. Le opere di narrativa invece si collocano all'interno di un filone della letteratura per l'infanzia, avviatosi nella seconda metà dell'Ottocento, che sostituiva agli incantesimi della fiaba il realismo degli affetti familiari e delle cure domestiche.
L'intento educativo vi affiora scopertamente e programmaticamente, in certi casi lasciando che il racconto sia solo il pretesto per rivestire una sequela di consigli utili o un incoraggiamento a dare e a seguire il buon esempio. I figli della borghesia, cui questi racconti erano inevitabilmente rivolti sia per l'ambientazione sia per la stessa estrazione dell'autrice, potevano così apprendere l'intera gamma dei buoni sentimenti: altruismo, spirito di sacrificio, moderazione, onestà, coraggio, rispetto per gli anziani e per gli umili, e non ultima la sincerità, principio su cui la E. tornò insistentemente fino a chiarificarne la necessaria funzione pedagogica in una operetta dal titolo Per la sincerità dei nostri scolari, pubblicata a Firenze nel 1922 nella collana "Scuola e vita" diretta da Giuseppe Lombardo Radice. Accanto alla individuazione della sincerità come mezzo per lo sviluppo espressivo del bambino, nell'opuscolo sono rintracciabili i motivi principali della riflessione della E. riguardo alla scuola e ai problemi dell'educazione, in parte già espressi in un articolo pubblicato nel 1904 (Piccole operaie del pensiero, in Il Marzocco, 6marzo 1904): la necessità di adeguare i programmi alle esigenze delle particolari scolaresche, di sfrondare quanto di troppo "libresco" e mnemonico era affidato all'istruzione, di attenuare l'importanza attribuita ai voti.
Verso il 1912 una grave malattia nervosa la costrinse a ridurre l'intensità del lavoro, fino all'abbandono del servizio nel '17. Il pensionamento e il cambio di residenza, dal centro di Milano ad una villetta in periferia circondata dal verde, giovarono alla sua salute; poté così riprendere l'attività letteraria, interrotta per circa dieci anni, dedicandosi ad alcune opere di ampio respiro, tra cui una monografia su Dante, pubblicata nel '21 in occasione del sesto centenario della morte.
Nel 1919 partecipò al concorso bandito dalla casa editrice Treves di Milano, per un "libro di italianità", vincendo il primo premio di L. 10.000 con il volume Noi, pubblicato dalla stessa casa editrice nel 1920. Secondo una trama "un po' artificiosa", le personalità storiche e artistiche (da s. Francesco a Dante, da Colombo a Leonardo fino a Mazzini), passate in rassegna a definire l'identità nazionale, sono ricondotte nel disegno di un'educazione civile fortemente improntata a sentimenti patriottici.
Grondante di patriottismo è pure un'altra opera di questi anni, Manin (Milano 1923), appassionata biografia-encomio del presidente della Repubblica veneziana nel 1848, nonché capo della disperata resistenza della città contro gli Austriaci nel maggio '49.
Il risalto dato alla condotta esemplare del Manin riconferma il punto di vista morale della E.: il suo atteggiamento verso la realtà del paese oscilla tra l'amor di patria investito di fervore quasi religioso e la riflessione su questioni di carattere sociale limitata a propositi filantropico-unianitaristici (si veda A una signorina o anche a più d'una, Milano 1898).
Con l'avvento del fascismo gli ideali di libertà della E. ebbero modo di esprimersi concretamente; il rifiuto di rendere omaggio, nei suoi libri, al nuovo regime, le costò l'invio al macero di migliaia di copie, mai più ristampate. Per rimediare al grave danno economico si limitò a fare traduzioni e a dirigere una collana di classici italiani e stranieri insieme con Maria Mariani.
A partire dal 1938 fu vittima delle leggi razziali; venne vietata la vendita, ed anche la consultazione in biblioteca, dei suoi libri. Achille Norsa ricorda che la sua casa frequentata, tra gli altri, da Angiolo Orvieto, Silvio Spaventa Filippi, Clemente Rebora, Giuseppe Antonio Borgese, fu chiamata da quest'ultimo "tempio della libertà", per la "ferma opposizione al fascismo" e la "fede nella libertà" mantenuta nonostante tutto dalla ormai anziana scrittrice. Nella fase più acuta delle persecuzioni razziali, alla fine del '43, la E. riuscì a salvarsi dalle deportazioni grazie all'aiuto dell'amica e collaboratrice Teresa Trento, che la tenne nascosta nella sua abitazione per oltre un anno e mezzo.
Morì a Milano il 13 febbr. 1946.